Anno Sociale: 2019 – 2020

  • I Martedì di San Domenico
Mar, 23/10/2018

Ora evento:

21.00

La parola icona dell’anima

prima serata del ciclo di conferenze su:

“La parola che educa e le parole che diseducano”

La classicità aveva teorizzato una vera e propria arte della parola: la retorica, alla quale era affidato il triplice compito di affascinare (delectare), ammaestrare (docere), mobilitare le coscienze (movere). La parola, il lógos – inteso come ratio e oratio (“ragione” e “discorso”) – secondo la definizione di Aristotele è la marca che ci caratterizza e ci distingue dagli animali. La parola può tutto: consolare e salvare, ma anche affannare e uccidere, a seconda che essa sia ‘simbolica’ (da syn-bállein,unire) e quindi unisca, oppure sia ‘diabolica’ (da dia-bállein, dividere), e quindi divida.

Ma il lógos- la parola della parola – è ricco di molteplici significati. La sapienza classica, già prima di Aristotele e dello stesso Socrate, aveva individuato nel lógos sia la ragione universale che unisce l’uomo al cosmo sia la ragione dell’uomo che partecipa della ragione universale sia la parola che esprime la conoscenza di queste sublimi realtà.Il lógos – diranno poi gli Stoici – è principio ordinatore del mondo e ogni uomo, partecipando del lógos universale, si trova in comunione (koinonía) con gli altri uomini.

In ben altra direzione e dimensione ci porta la parola biblica che incornicia entrambi i Testamenti, l’Antico e il Nuovo: la Genesi (“Dio disse”) e il Prologo di Giovanni (“In principio erala Parola”). Creatrice è la parola di Dio, come creatrice (e guaritrice) è la parola di Cristo. Ma questa parola presenta una novità assoluta rispetto alla classicità: la parola-lógos di Dio non solo non si confonde con l’universo ma si rivolge direttamente all’uomo e addirittura in un determinato momento si fa uomo: “E il Verbo si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi” (Giovanni 1, 14). È l’alterità del Cristianesimo con il Deus patiense lo scandalo della croce.

Trattando della parola, dovremmo dire della filologia, la disciplina che  custodisce, cura e ama la parola, perchè filologia vuol dire proprio questo: l’amore della parola e, peraltro, è il mio mestiere. Quella disciplina che  studia, ripara e tramanda I testi, che si occupa sia del modo in cui questi vengono trasmessi – c’è la trasmissione orale, manoscritta, a stampa, on-line – sia delle forme concrete della tasmissione: papiri, codici, e così via. E’ un mestiere nobile e severo quello di dovere spesso, come capita  in particolare ad un filologo classico,  ricostruire degli originali in parte rovinati e spesso ridotti, come parte della letteratura classica, ad un cumulo di macerie, per cause materiali – incendi, devastazioni, la deperibilità dei materiali – ma anche per cause scolastiche, ad esempio la selezione delle antologie che privilegiano certi testi e ne fanno scomparire altri. Ma in senso più ampio, un filologo non solo conserva, corregge e tramanda , ma impugna l’arma della critica  per rispetto di quel “logos”, parola,  che spiega tutto: il logos ragione contro ogni verità precostituita. Secondo la sua etimologia, il suo significato originario, la filologia, ovvero la disciplina amica del logos, della parola e del pensiero, vuol conoscere come stanno le cose. La filologia si pone come coscienza dell’insieme, come ha detto un grande maestro: il compito della filologia è far rivivere, con la forza della scienza, la vita scomparsa, il canto del poeta, il pensiero del filosofo e del legislatore, la santità del tempio e i sentimenti dei credenti e dei non credenti, le molteplici attività sul mercato e nel porto, in terra e sul mare, gli uomini intenti al lavoro e al gioco. E poi, come ha detto l’autore di “Aurora”, il grande filosofo Nietzsche, questa filologia è un antidoto a questa precipitazione indecorosa  e sudaticcia; ma sentite cosa diceva: “Filologia  è quell’onorevole  arte che esige, dal suo cultore, soprattutto una cosa: lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte  e una perizia da orafo della parola che deve compiere un finissimo, attento lavoro, e non raggiungi nulla se non lo raggiungi lento, ma proprio per questo fatto è oggi più che mai necessario ed è proprio per questo mezzo ch’ essa ci attira e ci incanta quanto mai fortemente, nel cuore di un’epoca del lavoro, intendo dire della fretta, della precipitazione indecorosa e sudaticcia. Dicevamo che la filologia intende conoscere la verità dei testi, smascherare il falso, compiere un’opera di disvelamento che è il significato originario della parola greca per dire “verità”, che vuol dire “togliere il velo”. A questa disciplina è toccato dimostrare che sono dei falsi clamorosi, ad esempio, lo scambio di lettere fra Seneca e S.Paolo, dalla ipotesi, del tutto infondata, della loro amicizia, si è passati alla conversione al cristianesimo di Seneca e si è passati a Seneca modello cristiano. Tutto falso: quell’epistolario non  è del primo secolo, ma del terzo o quarto secolo, lo dice la lingua e la lingua non tradisce. Vengono usate parole che nel primo secolo non c’erano. Ancora, la donazione di Costantino: non è del quarto secolo, ma dell’ottavo, opera della Curia romana per dimostrare il primato del Papato sull’Impero. E’ un falso, questo lo dice l’esame delle parole del testo, è un algoritmo, una dimostrazione precisa, scientifica.

Seconda prermessa: trattando della parola, dovrei dire del suo stato di salute oggi: la parola oggi consola o affanna, comunica o isola, salva o distrugge. La parola non gode di un buono stato di salute perchè noi parliamo male. Lo diceva già Platone nel Fedone: “ Parlar male, oltre ad essere una cosa brutta in sè, fa male anche all’anima”. Oggi, la parola è ridotta a vocabolo, slogan e merce ed ha una separazione, una vera e propria apartheid  dalle cose. A me ha sempre colpito e allarmato l’uso improprio e mistificato del linguaggio, tanto più oggi, nel rinnovato impero della retorica, quando oggi I colpi di stato si fanno non a suon di armi, ma a suon di parole. Per questo abbiamo bisogno di un’ecologia linguistica non meno di quella ambientale. In questa nostra Babele linguistica noi impieghiamo e inventiamo false equivalenze: noi abbiamo scritto flessibilità, ma i giovani l’hanno letta “disoccupazione”, ci hanno imbonito con l’economia sommersa, ma la realtà era un paese che poggiava sul lavoro nero, ci hanno tranquillizzato con la lotta preventiva,ma si legge “aggressione”. Ora l’escalation dell’ambiguità del linguaggo non si ferma, anzi accelera perchè investe anche l’ambito politico e istituzionale. Ci sono parole che ritenevamo indivise e indivisibili, che diventano proprietà di una parte; parole, valori che ritenevamo unici e insostituibili, che vengono tenuti in ostaggio: pensate alla parola “dignità”, la “dignitas” confiscata e tradotta in un decreto, la parola “politica” derubricata a “patto”, la parola “pace” sinonimo – sappiamo bene di che cosa –  di “condono”, la parola “rifugiato” equivalente a “clandestino”, straniero che ha ereditato solo la parte di “hostis”, di nemico e non più quella di “ospes”, ospite, la parola “patria” un aggettivo dal latino “patrus”, patria, “patrum” è la terra dei padri, non è la nostra, è dei padri e noi, invece, l’abbiamo immiserita a proprietà privata. E poi la parola perno: il Popolo che è il fondamento del bene comune, il “consensus iuris”,  il riconoscimento del diritto e della comune utilità, ebbene, questo popolo oggi è diventato l’incarnazione dell’esaltazione dei soli diritti e l’incarnazione delle pulsioni individuali. Dovremmo  ricordarci che c’è stato un popolo che ha eliminato Socrate, che ha preferito Barabba a Cristo, quel popolo – come dice Platone – che preferisce  il retore al medico curante. Se noi capissimo il valore di alcune parole, ad esempio, se capissimo che “competere” non vuol dire essere homo homini lupus, ma vuol dire dirigersi tutti insieme nella stessa direzione, se capissimo che comunicare vuol dire non guardare dal buco della serratura, o usare una notizia come un maglio sulla testa degli altri, ma comunicare, da “communis” vuol dire condividere quello che uno ha, il proprio dono, il proprio privilegio, con gli altri, se capissimo che occidente nel suo significato di tramonto indica il destino, la fine, mentre oriente sono quelli che arrivano. Bene, se noi capissimo tutto questo, forse saremmo più responsabili e anche migliori.

Parlando di parole – sono alla terza premessa – vorrei dire che la parola, il logos, è, insieme alla vocazione politica, la marca distintiva dell’uomo. Lo aveva detto Aristotele: “L’uomo è caratterizzto da due marchi distintivi: il “logos”, perchè l’uomo è un animale politico e la “polis”  perchè l’uomo è chiamato, condannato a vivere nella polis; chi è separato dalla comunità, o è bestia o è Dio”. Queste sono le nostre due marche, la ragione, il logos,  e la polis, la comunità; la parola e la politica, un tema cruciale, che prevede diverse soluzioni. C’era chi – come i sofisti – nel rapporto con la società, riconduceva tutto alla dialettica individuale per interesse personale alla situazione contingente. Siamo alla fine del quinto secolo. Questi maestri di retorica si affermano e sostituiscono i valori dell’etica aristocratica tradizionali per che cosa? Per la “doxa”, l’opinione, la verosimiglianza, non la verità, l’opportunità. Ognuno ha – dicevano loro – un logos personale, privato, individuale, che il maestro di tutti loro, un maestro di incantamenti verbali, Gorgia, vissuto quasi cent’anni,  dice che tutta la vita è uina battaglia di logos, di parole. Ogni logos contiene in sè anche l’antilogos: buono-cattivo, bello-brutto, vero-falso, è la grande battaglia delle parole, un grande sviluppo di dialettica. Non si vive, secondo questi sofisti, e non si agisce con la conoscenza, ma con le parole, con tante parole. C’era chi, invece, come Socrate e Platone, nel rapporto logos-polis (ragione-città) tenta di superare questo logos, questa parola individualistica, personale, privata, approdando ad un discorso comune (comune si dice Koinos), a un logos koinos, non personale.  Platone dice che il logos è anche pensiero perchè è il dialogo dell’anima con se stessa. Ebbene, entrambi si preoccuparono del discorso comune da costruire e si preoccuparono, non della doxa, dell’opinione, ma del sapere scientificamente fondato  e avversano le chiacchiere.

Qui non si fa altro che avere dei logos, qui si fanno tante parole, tanto per fare, il parlare tanto per parlare. C’era, infine, chi, come Cicerone,  capisce ed esperimenta la duplicità della parola che può essere diabolica e simbolica e dice un giovanissimo Cicerone: “Quando questa parola è proprietà degli Eloquentes che schierano la sapienza accanto alla parola, allora le città prosperano, le costituzioni fioriscono, le guerre cessano.  Ma – dice Cicerone, dopo essersi posto la domanda: è più il bene o il male che fa la parola alla politica?  dice: – se penso al fallimento di tante costituzioni, allo scoppio di tante guerre e di tante inimicizie, dico che questo avviene perchè la parola è  diventata proprietà e appropriazione dei “desertissimi homines”, dei più abili a usare la parola, abili parlatori, bravi comunicatori, dei demagoghi”. Ma io questa sera vorrei parlarvi non della parola in relazione alla mia disciplina filologica, non in relazione alla disciplina linguistica, al valore autentico delle parole e neppure  in relazione alla politica, bensì vorrei dirvi della parola, del logos in relazione al pensiero filosofico e al pensiero religioso, segnatamente  biblico.Il logos è un concetto che si può prendere a simbolo del mondo greco e della sua concezione di tutta l’esistenza, è un pilastro fondamenale su cui poggia questo ponte che si estende dalla Grecia arcaica, a quella classica, all’ellenismo, al giudaismo fino al Nuovo Testamento. E’ una parola così ricca da essere intraducibile: logos. Se altre civiltà si sono caratterizzate, sono state marcate chi dalla passione, chi dalla mistica, chi dalla scienza, la civiltà greca ellenica è marcata dal logos, da questo denominatore comune di tutti i saperi ellenici.Allora, cosa significa logos?Da dove viene questa parola? “Logos” deriva da Lighein che significa raccogliere, cogliere, poi numerare, contare, poi dire: si tratta quindi di un dire esteso, continuo, analitico, catalogico.  La radice ha un valore distributivo e razionale, percorrere secondo un ordine e passare in rassegna  secondo un piano. E parallelamente logos significa raccolta, calcolo, elenco, di qui passa a significare narrazione, discorso e parola, e parola anche  in condominio con la matematica,e per questo significa anche misura e proposizione. Sono numerose, già da Omero in tutta la grecità, le parole che si spartiscono il campo semantico del dire, del raccontare, dell’argomentare e quindi delle parole, del racconto; io mi limito a segnalarne due concorrenti con logos: una è “epos” , è la potenza della voce, il dire che si manifesta dal pronunciare al cantare, è parola accompagnata dalla musica, canto, verso, e l’altra è “mitzos”, oltre che parola significa anche ordine cui uno obbedisce, a cui ci si oppone con fermerzza. Il Mitzos non si computa, bisogna contrapporgli un altro mitzos di eguale peso o superiore e in genere vince il mitzos del più forte, del più alto in grado, secondo le norme che vigevano in una società gerarchica come quella omerica.  Ebbene, le lingue evolvono, selezionano e si selezionano per cui da un lato epos viene confinato alla poesia – da cui epica – e dall’altro mitzos, che significherà racconto, narrazione, mito, favola. Pensate, fino alla contrapposizione moderna tra il logos e il  mitzos, tra la ragione e la favola, due parole che all’inizio significavano la stessa cosa, da sinonimi diventano contrary, quindi vengono, queste due parole, confinate una alla  poesia e una alla favola, al racconto  e dall’altro lato il logos che si fa spazio e diventa la parola della parola, la parola per antonomasia, che confina tutti gli altri termini a sinonimi più o meno marginali, più o meno particolari. Nel passaggio dalla civiltà eroica all’epoca classica, si afferma il pensiero razionale che è connaturato alla parola logos per quello che abbiamo detto, per il suo significato di valore analitico, razionale del numerare, valutare, contare. Nella sola letteratura del quinto e quarto secolo – e ce ne rimane solo una parte non dico minima, ma una parte inferiore – le occorrenze di logos superano I quattordicimila casi. Due casi in Omero, al plurale, poco significativi. Ecco, è una rivoluzione lessicale questa affermazione del logos perchè sono mutati I contesti sociali in cui avere l’esercizio delle parole e della ragione che argomenta, sono cambiati I contesti e I destinatari della parola: se ricordate  quelle battaglie delle parole cui abbiamo accennate all’inizio – bello-brutto, giusto-ingiusto e così via – allora lì si sviluppa il logos, si afferma e diventa imperioso. Questo percorso del logos è marcato da due estremi. Due casi che ricorrono in Omero e fino a milletrecento casi in Filone di Alessandria nel terzo secolo d.C. Ebbene, di questo percorso, dai due casi omerici fino ai milletrecento di Filone, che voleva unire insieme la religione ebraica e la filosofia greca, di questo percorso vorrei segnalare alcune tappe. In particolare due momenti fondamentali: il logos di Eraclito e il logos biblico. Il primo aspetto è quello filosofico, Eraclito, circa 500 a.C. è il primo a parlare  e a dire che il logos è il fondamento del tutto, il logos è relazione, connessione, unità fra il cosmo e l’uomo ed è comune al cosmo e all’uomo . Ma benchè sia comune, questo logos, alcuni non lo riconoscono e preferiscono parlare secondo un logos personale, privato. La verità è che c’è questo logos che ci accomuna all’universo, però alcuni resistono, vivono come se fossero dotati di un proprio pensiero, vanno per la tangente, per I fatti loro. “Se ascoltassimo – dice Eraclito – la voce del logos, capiremmo che tutto è uno, che questo logos si sviluppa e si moltiplica nell’anima di ognuno e che questo richiede poi un comportamento etico conforme, anche se la natura e il percorso di questo logos è insondabile. C’è questo frammento stupendo, il 45, segnato come 45 dagli editori: “Per quanto tu possa camminare, I confine dell’anima non li troverai anche se percorressi ogni strada, così profondo è il suo logos”. Per Eraclito Logos è la ragione universale, è la ragione umana collegata alla ragione universale che indica all’uomo la via della vera sapienza ed è, in terza istanza, la parola, il discorso che esprime questa concezione: ragione universale, ragione umana e parola che racconta tutto questo. “Vi è una proporzione che governa  gli incessanti cambiamenti  – dice Eraclito – un’armonia che rappresenta l’unità degli opposti. Interezze non intere, convergenti e divergenti, consonanze e dissonanze e da tutte le cose una e da una tutte le cose.  Un’eterna alternanza con presenza dei contrari, in un ordine perenne, questo logos cosmico che ci vede tutti coinvolti.

A Eraclito non interessa un sistema filosofico organico, a lui interessa afferrare l’unità tra il signolo e il tutto; il tutto si tiene per mezzo della legge fondamentale della proporzione, tutto collegato al cosmo. L’universo I  Greci lo chiamavano Kosmos, I Latini Mundus.  Mundus è un’altra cosa: Kosmos è un mondo  appariva già ordinato ( da kosmos deriva cosmetico), abbellito. Se I Greci chiamavano il mondo Kosmos, capite la verità che sta nella parola e nella lingua. Eraclito, questo grande modello, questo grande archetipo è uno di quelli con cui tutti hanno dovuto fare I conti nel segno della continuità e della discontinuità, della ripresa e della variazione. Chi non conosce Eraclito non può dire che ha studiato o studia la filosofia; bisogna passare da lì. Io faro solo qualche accenno . Una prima ripresa e variazione di questo motivo, di questo logos di Eraclito, è quella dello stoicismo; lo stoicismo che già c’è nel 300 a.C. Nello stoicismo il termine logos  esprime l’ordine e il fine  del mondo. Questo logos è equiparato a Dio dagli stoici, è equiparato al fato. Il logos è la legge della ragione del mondo, il logos è il principio creatore  del mondo, ordinatore del mondo, il mondo non è che un grande sviluppo del logos. Eraclito partiva dall’universo, loro partono dal logos che si sviluppa nell’universo. E’ una forza organica, a partire dalla materia informe, il movimento che dà vita alle piante e movimento agli animali, ma anche materia razionale, il logos è legge del mondo e precisamente legge del mondo e dell’individuo e ogni uomo ha una particella di questo logos universale. Noi di lì siamo venuti e lì torniamo perchè condividiamo delle particelle di questo logos, siamo dei frammmenti.Però anche loro presupponevano questo logos kosmos che ci accomuna tutti, comune a noi e agli dei. Gli uomini sono uniti in una grande comunione mediante la partecipazione al logos che è la legge naturale. Nel logos stoico, la forza razionale dell’uomo e quella vitale di tutti I viventi, si trovano unite insieme. Capite che tutto ci è dato e dobbiamo adeguarci e quindi non c’è qui la ricerca come c’era da Socrate e Platone, non c’è posto per l’idea socratica dell’attività di ricerca della verità ; è già contenuta in sè, è già data;  là invece c’è un grande tentativo sia nei sofisti, sia in Socrate. Nei primi, in maniera individualistica, in Socrate, in maniera comune e comunitaria: dalla città, la ricerca della verità tramite il logos ; qui invece, c’è già dentro, ci  è già consegnato per cui lo identifichi col fato, ti rassegni. Un’altra variazione  che dipende sempre da questo grande modello, archetipo rappresentato  da  Eraclito e il neoplatonismo – quindi siamo nel terzo secolo d.C. – è quella sostenuta dal  grande Plotino second cui  la natura è logos che produce, quale sua creatura, un altro logos e altri logos. Logos è un principio e tutto è logos. Per mezzo di questo logos l’uomo è in grado  di sollevarsi – dice Plotino – al di sopra di tutte le attrattive della natura, fino al logos vero, alla verità dell’essere. E qui lui dice: “I neoplatonici dicono che il logos umano non conduce, però, all’ ascolto, conduce alla visione; ma questo non è ancora l’ultimo gradino perchè ciò che vede l’uomo nella visione mistica non è logos, ma è qualcosa più grande del logos, che precede il logos; è la mente che ha generato il logos da cui tutto deriva. Anche qui, come nella dottrina stoica, l’uomo per mezzo del suo logos è in grado di sganciarsi dal miraggio della realtà, ma questo processo non conduce più – come nello stoicismo – alla conoscenza cui dovrebbe seguire poi un corrispondente comportamento etico, bensì conduce alla visione, ad una realtà translogica : questo è il giudaismo di Filone. Filone è l’autore  del logos visto che  milletrecento volte ricorre  questa parola. Lui, Filone, voleva tenere insieme la religione giudaica e la filosofia  greca e dice che il logos è un’opera di Dio ed è un’immagine dell’Altissimo: è opera e icona.  Il logos, per Filone, è una realtà intermedia  derivante da Dio, che stabilisce un rapporto tra Dio e  il mondo, cioè un intermediario. Già qui cominciamo a sentire una certa familiarità con I concetti che arriveranno poi, perchè lui voleva combinare la speculazione filosofica greca con la religione giudaica. Qui il logos è concepito anche come mediatore personale fra Dio e il mondo; lui parla di un logos di Dio  e di un logos  divino e parla anche di una realtà personale che si frappone fra Dio e il mondo. Questo è un primo punto di sviluppo del logos da un punto di vista filosofico, da Eraclito in poi. C’è un secondo aspetto, quello religioso e biblico: l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento. Nell’Antico Testamento logos, parola di re compare 241 volte: Questa parola è una parola creatrice per la rivelazione ebraico-cristiana. La parola è anzitutto la radice della creazione: “In principio Dio disse:” Sia la luce” e la luce fu” L’essere creato non nasce, come insegnava la mitologia babilonese, da una lotta teogonica, una teomachia, bensì da un evento sonoro, efficace. La parola che vince il nulla  e crea l’essere.Ecco la parola che crea. L’essere creato non nasce nè da una lotta teogonica, come ritenevano I babilonesi, e all’origine non vi è neppure il caos – come aveva detto Esiodo – caos non vuol dire confusone, vuol dire lo sprofondo, la voragine, il baratro. Parola creatrice del cosmo, del cielo, della terra, della luce e parola creatrice degli eventi storici. Questa parola nel Vecchio Testamento, è alla radice della storia come  sorgente di vita e di morte, perchè questa parola di Dio non scherza. “Mandò la sua parola e li guarì, li scampò dalla fossa” Egli invia la sua parola e li fa perire. Ora li salva, ora li condanna. Il Signore li parò dal fuoco, una voce di parola voi ascoltaste: non immagine, voi vedeste, solo una voce” C’è tutto il rifiuto dell’idolatria, dell’immagine. Qui ci vorrebbe quell’orafo della parola che è il Card. Ravasi che ci spiegherebbe questa dimensione fotenica della parola, perchè la metrica ebraica non è quantitavita, ma qualitativa, affidata all’impasto cromatico armonico e persino descrittivo del suono. Sono tante le parole caratteristiche di questa parola veterotestamentaria. Io ve ne dirò due. Una è una parola che va mangiata: una è quella di Ezechiele, in un passo in cui descrive la scena in cui la mano di Javè si tende verso il profeta e stringe un rotolo scritto, un rotolo che è riempito da tutte due le parti, per dire la pienezza traboccante  di questa parola. Quel rotolo va consegnato al profeta perchè lo mangi. “Figlio dell’uomo, mangia questo rotolo, poi va, parla alla casa di Israele. Io aprii la bocca e mangiai quel rotolo”.  Ecco, qui quest’atto di mangiare il rotolo della  scrittura esprime chiaramente la completa unità tra il profeta e questa parola che viene da Javè. E’ una parola che  va mangiata, è un’espressione forte, altro che accarezzata, altro che parole, parlare per parlare. E’ un’altra caratteristica di questa parola che è voce di sottile silenzio. Alcune volte questa parola è come un fuoco, come un Martello che frantuma le pietre, altre volte, invece, è voce di sottile silenzio.

Il primo libro dei Re: “Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare I monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto, dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco la voce di un silenzio solenne: come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello. E qui c’è un bel commento del compianto Umberto Eco: “Non si può trovare Dio nel rumore, Dio si palesa solo nel silenzio, Dio non è mai nei mass media, Dio non è mai sulle prime pagine dei giornali, Dio non è mai in televisione, Dio non è mai a Broadway” .  Nel Nuovo Testamento la parolalogos ricorre centotrentunvolte, nei significati non solo teologici, ma anche profani. Col Nuovo Testamento siamo a Cristo: la parola, il verbo il logos di Dio. Dio si rivolge agli uomini tramite Cristo, tramite il logos di Cristo. C’è una differenza sostanziale tra la speculazione ellenistica e questo messaggio neotestamentario, c’è un abisso perchè all’uomo del Nuovo Testamento, al cristiano che arriverà, ciò che Dio vuol dire all’uomo è inconcepibile nel pensiero Greco. Un Dio che si rivolge all’uomo, un Dio personale è inconcepibile. Pensate a questi Dei capricciosi dell’Olimpo, la concezione del logos nello stoicismo era innervate, era immanente nella natura e nel mondo, al contrario, questo logos si muove da Dio verso l’uomo, ha un modo discendente, non è immanente, è discendente, è una prospettiva completamente diversa  da quella ellenica. Nella grecità profana, poi, il logos stoico si può moltiplicare in singoli logos paralleli. Logos  è espressione di armonia, è il legame spirituale profondo che tiene tutto insieme. Uno è tutto e tutto è uno. Non è mediatore fra Dio e il mondo, è un tutt’uno. Il logos ellenistico  torna continuamente, secondo la concezione ciclca, non avviene una volta per tutte, non è determinato nel tempo, ma è un’azione, una creazione continua, una metamorfosi secondo l’eterno ritorno delle cose. Invece qui è diverso, in questa prospettiva c’è un evento storico e unico. Quella persona lì, una volta sola è morta e una volta sola è nata; non è la ciclità che torna, quindi qui c’è una netta differenza tra la speculazione ellenistica e questo messaggio del Nuovo Testamento, ma la differenza sostanziale non è solo tra questo Nuovo Testamento e la classicità, è fra  questo Nuovo Testamento e il Vecchio Testamento: ci sono due novità assolute: 1) questo logos, questa figura di Cristo – qui non c’entra niente credere o non credere,  qui conta capire, leggere e informarsi –  questo logos di Cristo sostituisce la legge. Quel discorso della montagna di Matteo:”Avete udito quello che fu detto agli antichi, io invece vi dico”. Questo discorso di Cristo che invalida e supera quello che è stato detto prima e pone il suo Io al livello stesso di Dio dell’Antico Testamento. Il prologo di Giovanni al versetto 17 dice: “La legge, ossia la Torah, fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità si ebbero per mezzo di Gesù Cristo”. Prima eravamo nel mondo della legge, ora siamo nel mondo della grazia e della verità. La parola di Cristo prende il posto della Torah. Questa è la prima novità.

Una seconda novità. Quel logos che diventa una persona: “In principio era il verbo e il verbo era presso Dio e il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.” Apparentemente  sia l’Antico che il Nuovo Testamento si incorniciano con la parola, ma c’è una differenza sostanziale. Nell’Antico Testamento si parla della parola, del logos di Dio, Dio che parla, questa sua parola che opera, che crea I cieli, crea il mondo, ora distrugge, ora salva, questa parola che agisce. Nel Nuovo Testamento, e precisamente nel versetto di Giovanni, si parla  della parola di Dio che si fa uomo, si fa carne, non è più il logos di Dio, il logos divino, ma è il logos, la parola, l’uso assoluto senza specificazioni, senza aggettivi, la parola identificata  ad un tempo sia con Cristo Dio che con Cristo uomo. La parola in principio era il logos, il logos era presso Dio e il logos si fece carne e venne ad abitare nel mondo. Qui ci sono delle questioni che gli studiosi stanno ancora dirimendo; una è quella di questo                                    prologo del Vangelo di Giovanni che capovolge tutto quanto è avvenuto prima. Perchè anche gli altri Evangelisti non dicono questo, allora  è possible che questo prologo sia una rielaborazione  di un più antico inno al logos, ma questo non cambia niente; e l’altro, che influenza ha avuto? Prima io mi sono attardato un po’ su Filone e il giudaismo perchè nel problema dell’origine del concetto del logos di Giovanni, al giudaismo ellenistico spetta probabilmente una certa influenza, ma ciò che risalta è il significto e l’originalità di questo logos di Giovanni, di questa parola che diventa carne. Logos greco abbiamo detto che è intraducibile, abbianmo dovuto usare almeno setto od otto parole per spiegare cos’è il logos. Qui la intraducibilità è superiore al quadrate, direi che è esponenziale. Siamo passati da Eraclito, dal filosofo Greco, al Vecchio Testamento, all’ ebraismo, ora siamo in un altro ordine, ancora su un altro livello. Siamo a quello che I credenti chiamano “Il mistero cristiano.” Uno  che ne capiva di poesia, di pensiero e anche di scienza, un grande che era nel Faust, in questo prologo di Giovanni mette le mani e lo aggredisce frontalmente  e si chiede:”ma cosa vuol dire: “In principio era il verbo?” Allora chiede. All’inizio il verbo era la parola, però non basta, allora, cos’è questo verbum , questo logos, il pensiero, il significato non lo soddisfa; la traduzione parola non lo soddisfa, non lo soddisfa pensiero, allora  rilancia l’energia, la Potenza, ma anche questa terza soluzione non lo convince  e alla fine dice:”l’azione, l’atto, logos ha tutti questi significati e non solo perchè quel logos è un evento storico e parole e discorsi e tutto quello che abbiamo detto prima,  poi qui diventa evento storico, persona non spirituale, non quello che ti lega agli uomini, agli dei, quelle visioni cosmiche , non è persona spirituale, ma fisica, mortale, che ha subito la Passio. Fisicità e morte. Per questo parlìamo dello scandalo di un Dio crocifisso e Paolo parla di una Speranza, spes, contro ogni Speranza. Per questo, in questo caso, si parla di rivelazione e non di religione

Partecipanti: