Anno Sociale: 2016 – 2017

I martedì di San Domenico

Martedì, 28/03/2017 | Ore: 21,00

Il segreto del figlio

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Il titolo nasce da una circostanza che si sta ripetendo nella mia famiglia, osservo i miei figli crescere, li osservo con ammirazione, anche quando sono perduti nella loro atroce indolenza e penso che non li conosco, che non capisco nulla di loro, che per certi versi mi sono incomprensibili e che ciascuno di loro porta con sè un segreto. Ora, se prendete queste considerazioni,  noi guardiamo I nostri figli crescere e più crescono e più questo segreto, anzichè ridursi, aumenta. Attualmemte, la pedagogia che domina il rapporto genitori-figli si fonda su alcune parole d’ordine che sono: comprensione, dialogo, empatia, immedesimazione. E’ un lessico pedagogico oggi egemone. Io, con questo libro,  provo ad aprire un’altra strada   che non passa più da queste parole d’ordine;  sforzo che io faccio è provare a non criticare perchè credo che il vero dono d’amore che un genitore può fare al figlio non è tanto quello di comprenderlo, ma quello di accettare di  non  capire e di rispettarne il segreto.  Ma il punto è che proprio perchè I figli appaiono incomprensibili, la prova dell’amore è questa: non amarli perchè si omologano alle nostre aspettative, al programma della famiglia. Amare un figlio che si omologa al programma della famiglia è facile, bisogna vedere se il figlio desidera veramente omologarsi.. Amare il figlio laddove  devia da questo programma , laddove si rivela incompatibile con questo programma, questa è la prova. Allora, per entrare nel tema parleremo di quattro figli molto noti, che sono l’oggetto di questa riflessione: Edipo  di Sofocle,  Isacco , il figliol prodigo  e Amleto. Sono  quattro figli maschi che ben rappresentano tutto il mio lavoro sul rapporto tra le generazioni, sulla genitorialità; l’essenza della postura etica della genitorialità è racchiusa in due parole: “Eccomi”, la parola con la quale Abramo risponde al suo Dio, e la seconda parola è “Vai”, che non  è la parola che il padre di cui ci parla Luca pronuncia, ma è l’atto che il padre compie. Queste due parole, se le prendiamo insieme – eccomi e vai – custodiscono un paradosso. Se io dico “eccomi”, assicuro una presenza, potremmo dire che tutta la prima parte della vita del figlio, il  tempo dell’infanzia, necessita la presenza, presenza che prende tante forme: le mani della mamma, lo sguardo, ma soprattutto,  io direi che la più importante è la Parola perchè la parola del genitore, quando I figli sono bambini, significa non lasciare cadere il figlio nel buio della notte, non lasciarlo sprofondare nella solitudine, non abbandonarlo. La parola porta la luce  ed è dunque la forma simbolica più forte della presenza. Dio ci parla: ecco, un figlio ha bisogno della parola di un genitore; il genitore è quello che sa restare vicino al figlio. Ecco,  una definizione che darei: SAPER RESTARE, saper rimanere accanto. I bambini hanno assoluto bisogno di questo. La parola porta luce; allora diciamo che la prima formula  è “eccomi”, la parola come luce, la presenza come rassicurazione, la presenza come antidoto all’angoscia. Se noi passiamo alla seconda parola entriamo in un contrasto vivo: la seconda parola coincide molto spesso con il tempo della giovinezza,  dell’adolescenza, c’è bisogno di aria. Come accade al secondogenito di cui parla Luca, c’è bisogno, nell’età dell’adolescenza, di aprire la porta, c’è bisogno del viaggio. Di fronte a questo movimento di aperture, qual’è la funzione del genitore? Cioè, come si gestisce la libertà di un figlio? Bisogna gestire la libertà o donare la libertà? Oggi, in un tempo come il nostro, di violenza e di grande insicurezza, quello che noi possiamo constatare è  che il rapporto  fra angoscia e presenza, che abbiamo visto nell’infanzia, nell’adolescenza si ribalta: cioè, mentre nell’infanzia è la presenza che cura l’angoscia, nell’adolescenza, la presenza del genitore diventa angosciante. “non starmi addosso, non leggere le mie cose, non guardare dove vado, non aspettarmi”, c’è una richiesta di libertà , c’è l’esigenza di liberarsi della presenza. Prima dobbiamo assicurare la presenza, poi dobbiamo assicurare l’arretramento, cioè l’assenza , sapere abbandonare I nostro figli. Questo è il  cuore del rapporto tra Isacco e I suoi genitori.   Questo unico figlio che viene fuori tempo massimo, il figlio del miracolo,  è, proprio per questo, il figlio con il quale il legame diventa  più intenso, assoluto, unico, profondissimo. Allora, quando il legame tra genitori e figli , come accade ad Abramo e Sara rispetto a Isacco, si fa intensissimo, unico, assoluto, può diventare soffocante e  dal punto di vista della lettura psicanalitica  che noi possiamo fare di questa vicenda,   noi possiamo leggere tutta la prova che Dio impone ad Abramo, “prova”,  che ,presa dal punto di vista  oggettivo, potremmo dire  che è una prova quasi sadica, cioè Dio imporrebbe a un padre – per dimostrare la tenuta della sua fede –  di uccidere il proprio figlio.  Se leggiamo le cose così, siamo di fronte  ad un sadismo feroce, invece nella lettura che vi sto proponendo è veramente la prova della genitorialità, e cioè  Dio pone ad Abramo la prova più alta che ogni genitore è tenuto ad assumere, quella di, al tempo della giovinezza, saper sacrificare la proprietà dal proprio figlio, rinunciare alla proprietà. Questo è il cuore etico del sacrificio di Abramo, tu che hai aspettato una vita questo figlio, che ami questo figlio più di te stesso, saresti disposto a rinunciare alla proprietà del figlio, a “portare il figlio sul monte del sacrificio”, ad abbandonarlo nel deserto? Questa è la forza della prova che Abramo sostiene, che ogni genitore per certi versi è chiamato a sostenere. Sapremo noi, nel tempo in cui la vita del figlio esige ossigeno, rinunciare, sacrificare la nostra proprietà? Questo è il grande problema che la figura di Isacco pone e la scelta di Abramo è quella di uccidere il proprio legame col figlio, quando questo legame diventa eccessivo. Faccio poi notare che la morte di Sara avviene proprio al termine di questa narrazione, quasi una coincidenza. Il figlio si slega, si libera del legame  e la madre muore.  Questo è il destino dei genitori. E qui arriviamo alla seconda figura: Edipo. Vediamo l’origine del dramma di Sofocle.Laio genera, con Giocasta, Edipo; un oracolo predice  che Edipo diventerà l’assassino del padre  e il marito della sua sposa, dalla quale avrà dei figli che saranno al tempo stesso figli e fratelli e in più Edipo si impossesserà del regno del padre. E’ una profezia agghiacciante. Laio risponde a questa profezia decretando la morte  di Edipo, affida Edipo alle mani di un pastore con il compito di ucciderlo , il pastore si muove a pietà, assegna il bimbo ad un altro pastore che lo porta in un’altra città, a Corinto, dove il re e la regina non hanno figli naturali e adottano Edipo. Quando Edipo diventa un ragazzo ha dei dubbi sulle sue origini e per risolverli va da un oracolo che gli rivela il suo destino: diventerai l’assassino di tuo padre e giacerai nel letto di  tua madre : questi sono I due massimi crimini dell’umanità: parricidio e incesto. Edipo,  terrorizzato, vuole evitare che si compia la legge del destino, inverte la rotta, non vuole tornare a casa e si dirige veso Tebe dove incontra, in un crocevia, una carovana a capo della quale c’è un anziano signore ch’egli non può riconoscere come  il suo vero padre: è Laio. C’è uno scontro in cui Edipo uccide non solo Laio, ma tutta la scorta tranne uno che diventerà poi il testimone  ed Edipo entra nella città di Tebe , flagellata da un misterioso male, risolve l’enigma della sfinge , diventa re  e gli viene data in sposa la moglie del re Laio che nel frattempo era stato misteriosamente ucciso. Quindi Edipo diventa il marito di Giocasta, avrà dei figli che sono al tempo stesso suoi figli e suoi fratelli. Ma il Dio scaglia la sua maledizione contro la città di Tebe, contro Edipo; non si capisce quale sia la causa di questa epidemia che travolge la città; Edipo è il re e fino a quell momento è stato considerato un re saggio, che ha salvato la sua città dal misterioso male che la affliggeva e dunque di fronte a questa nuova epidemia  Edipo si comporta da re e cerca il colpevole. Ma torniamo all’inizio, perchè l’inizio è decisivo. L’inizio è Laio cui l’oracolo dice in sostanza quello che ogni figlio dice a noi. E cioè tuo figlio ti ucciderà; accade sempre così, quando noi guardiamo negli occhi  un figlio vediamo, da un lato la nostra vita che continua in quella del figlio, ma ogni figlio porta con sè anche il destino fatale dell’avvicendamento, del ricambio generazionale, del fatto che noi, come genitori,  saremo necessariamente passati, superati, cioè uccisi dal figlio. E’ un grande problema anche politico, culturale, il rapporto fra generazioni: le nuove generazioni uccidono le vecchie, è sempre stato così. Il problema è che bisogna saper tenere il proprio posto, dunque vivere l’esperienza dell’essere superati non con angoscia e rancore, non odiare la giovinezza, ma amare la giovinezza anche se comporta la nostra morte. Questo è un punto molto importante . Questo dice nella lettura che io faccio – un po’ forzata – l’oracolo a Laio. “Tuo figlio ti ucciderà” E’ sempre così, ma questa è la bellezza del figlio; il padre lascia il posto a chi ha il passo più veloce. Non provare ad invertire la direzione della storia. Questo  accade anche nel rapporto fra maestri e allievi: I grandi maestri sanno farsi uccidere dai loro allievi: aver formato degli allievi e poter godere del fatto che la loro parola è diversa dalla nostra, a volte è più incisiva della nostra, supera la nostra: questo significa morire,  ma è l’esperienza della morte come passaggio, come dono, non come incubo. Vedersi sorpassati dal proprio allievo è un’esperienza di gioia, non di sconforto. Ti fa sentire che quello  è il suo tempo. Ma vediamo che cosa accade nella parte finale.  Qual è l’errore drammatico che Edipo compie quando chiede  chi è il colpevole, a causa di chi Tebe è invasa dalla peste? L’errore che commette Edipo, e che per la psicoanalisi è l’errore più grande, è quello di non contemplare la possibilità che il responsabile  del male sia lui stesso. E cerca il colpevole fuori di sè, negli altri, vuole sapere la verità: questa è la sua forza, ma qual’è la cecità di questa forza?  Qual’è la cecità di Edipo?  E’ la dimensione antisocratica  che lo accompagna , cioè non vuol conoscere se stesso, produce una conoscenza che va oltre il mondo, ma non implica se stesso in questo movimento di conoscenza, dunque Edipo non viene a capo del problema del male  perchè si è escluso dalla ricerca, cerca il male solo negli altri; presunzione d’innnocenza è il peccato più grande  per la psicoanalisi, fino a che Edipo vede finalmente la verità quando chiede a Tiresia di dire come stanno le cose e  Tiresia glielo dice. Ecco la parola che diventa pietra. Edipo è l’incarnazione di un destino inesorabile; tutto è  già scritto nella prima sentenza dell’oracolo. Questo è il mondo greco: non c’è nessuna possibilita di interrompere la legge del destino. La colpa dei padri ricade inesorabilmente sui figli. Possiamo fare un riferimento brevissimo ad Amleto  che è il ribaltamento di Edipo. Edipo uccide, è colpevole, ma è innocente, non sa chi uccide , ama Giocasta innocentemente , ma è colpevole perchè la sua donna è sua madre. Dunque Edipo è massimamente innocente e massimamente colpevole. E’ questo il suo dramma e per certi versi Edipo agisce, ma non sa quello che fa, ma pensiamo invece ad Amleto, il padre morto, ucciso subdolamente dal fratello Claudio,  riappare nelle vesti di uno spettro ad Amleto e gli dice la verità e assegna ad Amleto il compito di vendicarsi. Quindi, Edipo cerca la verità che non sa, mentre Amleto sa la verità, ma non riesce ad agire. Edipo agisce senza sapere, Amleto sa ma non  agisce. E’ il ritratto del soggetto contemporaneo: c’è troppo pensiero, troppa ruminazione, e l’atto è sempre rinviato. Amleto esita, tentenna, differisce l’azione, dubita, è bloccato, paralizzato. La risposta di Freud è che è paralizzato perchè non può uccidere  lo zio assassino perchè il suo desiderio è esattamente quello che Claudio ha realizzato, cioè il desiderio è edipico: uccidere il padre per amare la madre. E’ per questo che il suo braccio rimane inerme, paralizzato. Ma c’è qualosa di più in Amleto cui voglio accennare e che è già il tema della morte del padre. La morte del padre non  è, soprattutto per I figli maschi, una morte qualunque, ci mostra la verità più radicale della nostra esistenza perchè per un bambino il padre è immortale perchè è il luogo  della sicurezza, che protegge la vita dalla morte, quindi, pensare che un padre  possa morire è un cataclisma. E’ quello che accade ad Amleto: la morte del padre è un cataclisma e tutto si paralizza; la morte vince sulla vita, . C’è un solo  modo in cui Amleto riuscirà ad agire e alla fine ad uccidere tutti, anche se stesso, a “scendere nella fossa” che è un modo per liberarsi dell’immagine, incontrare il proprio destino mortale. Ma il figlio più importante,  è il figliol prodigo, il figlio ritrovato della parabola di Luca. Sappiamo come inizia la parabola: “Dammi la parte che mi spetta”, possiamo mettere in risalto questo  imperativo del figlio verso il padre: DAMMI è inaudito perchè  il figlio ritrovato  è veramente il paradigma del figlio contemporaneo. I nostri figli si rivolgono ai genitori così, oggi: “dammi”, è una richiesta continua,  ma  per la legge ebraica era vietato invocare la spartizione dell’eredità con il padre ancora in vita; se il padre del figliol prodigo avesse voluto fare appello alla legge, avrebbe potuto lapidare il figlio. Di fronte a questa richiesta, invece,  cosa fa il padre: non applica la legge, fa un’eccezione, non invoca il castigo, anzi, gli dà la sua parte di eredità e gli dice “Vai”. Dicendo così rinuncia  al suo diritto di ricorrere alla legge e fa intervenire un’altra legge che è quella che rispetta il segreto del figlio, è la legge dell’amore verso il figlio. Vuoi andare? Vai, perchè il padre sa bene che la vita si compie solo nel viaggio. Sappiamo poi che il figlio ben presto ha dissipato tutto e, nel momento di maggior tristezza e abbandono, pensa di tornare a casa. E quando torna cosa succede? Questa è la scena più importante di tutta la parabola, quella che mette in alternativa questo padre a Laio. Laio, di fronte al pericolo del figlio, gli vuol dare la morte, mentre questo padre lascia andare il figlio, ma quando il figlio torna, non solo si limita ad accoglierlo, ma gli va incontro. Il figlio si aspetta la punizione, l’applicazione della legge, e invece trova un padre che gli corre incontro e gli getta le braccia al collo, fa festa, irritando il primogenito che dice: “Ma come, io ti  ho sempre servito e non ho mai avuto niente, adesso è tutto per l’altro che in realtà ha dissipato il patrimonio e non per quello che ha obbedito. Questa è una consolazione per quelli come me; cioè, perchè il pastore si occupa della pecorella smarrita e non del gregge dei giusti che sono rimasti al loro posto? Un po’ come gli analisti che si occupano delle pecorelle che son fuori dal recinto, che si sono perdute. Quindi contano più i peccatori dei giusti.Ma questo significa che conta più chi ha fatto esperienza dell’errore, chi ha dato forma alla propria vita attraverso l’esperienza, che non chi è rimasto all’ombra del padre. Chi ha modellato la propria vita su una forma che gli preesisteva, quella del padre, chi ha interpretato l’eredità come obbedienza, ha sbagliato. L’interpretazione dell’eredità non è un’obbedienza, non è una clonazione, una riproduzione della vita del padre. Allora, il figlio che è rimasto a casa, è un figlio che ha pensato che l’eredità coincidesse con il riprodursi, il figlio che si è messo in movimento ha pensato che l’eredità è una riconquista, è fare esperienza del mondo ed è per questo  che in fondo è più il figliol prodigo, il figlio ritrovato, che obbedisce alla sostanza della legge, negando la sua forma. Concludo con quest’ultimo punto. L’ultimo dono del padre, certo abbraccia e bacia il figlio, ma soprattutto lo perdona. Ma cosa significa perdonare? Cosa è veramente il perdono? E’ una parola che porta il Dono nel suo stesso etimo; significa rompere la simmetria, interviene una asimmetria. Il figlio ha commesso una colpa, si aspetta che la legge lo punisca. Ecco la simmetria:l’oracolo dice a Laio: “Tuo figlio ti ucciderà” e Laio vuole uccidere il figlio: Ecco la simmetria. Il figlio entra in conflitto col  padre, se il padre entra in conflitto col figlio siamo spacciati  e a volte troviamo delle situazioni anche clinicamente ingarbugliate perchè sono I genitori ad avere un conflitto coi figli, ma questa è un’alterazione radicale: il conflitto deve essere dei figli verso I genitori. Il mestiere dei genitori è sopportare il conflitto non in modo passivo, ma riuscire a trovare uno spiraglio che non  è  reagire al conflitto innescando un altro conflitto . Tu ti aspetti che io ti punisca, che io applichi la legge e invece io faccio festa.Questo è  straordinario; la festa del ritrovamento. Perchè il ritrovamento è una festa? il perchè lo dice Luca molto bene: quello che io pensavo fosse un figlio morto, in realtà è ancora vivo: E questo non dovremmo mai dimenticarlo . Potremmo tradurlo laicamente in un modo molto semplice. Quando un genitore affronta l’incomprensibilità di un figlio, il suo segreto – come abbiamo detto –  riesce a dare fiducia a questo segreto e non ad estirparlo, non omologarlo alle sue attese, ma riesce ad avere fede in questo segreto, potenzia il desiderio del figlio.

Il segreto del figlio
Il segreto del figlio n. 2
Il segreto del figlio n. 3

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